Domande più frequenti sulla terapia cognitivo-comportamentale, in particolare di tipo ACT
A differenza delle altre psicoterapie, la Terapia cognitivo-comportamentale si focalizza sul presente, è più breve ed è orientata ai problemi attuali e a sviluppare specifiche abilità che si possano utilizzare per il resto della vita.
Esse riguardano l’aumento della consapevolezza e conoscenza di sé, l’identificazione di processi di pensieri problematici e improduttivi, la gestione delle emozioni difficili e spiacevoli i e il cambiamento di comportamenti disfunzionali.
Inoltre, una differenza importante è che poggia su una base sperimentale e un metodo scientifico validato, infatti, la sua efficacia nel trattamento di numerosi disturbi psicologici è stata convalidata empiricamente.
Dipende ovviamente dalla richiesta, dalla problematica e dalle capacità e risorse della persona.
Alcuni intraprendono un percorso molto breve, appena sei-otto sedute che a volte possono essere sufficienti per individuare il problema e iniziare a invertire la rotta.
In altri casi, la terapia può durare alcuni mesi o anche più di un anno. Questo dipende anche dall’intensità del problema, dalla motivazione del cliente, dallo stabilirsi di una buona relazione terapeutica, ecc.
Gli psicofarmaci NON vengono prescritti all’interno di questa terapia. Però in alcuni casi, a seconda della natura e dalla gravità del disturbo del paziente, il terapeuta potrà consigliare di rivolgersi allo specialista medico (per es. psichiatra) per valutare e concordare un’eventuale e provvisoria prescrizione di farmaci di sostegno alla psicoterapia. In questo caso, l’assunzione e gli effetti dei farmaci verranno discussi nei colloqui terapeutici con il paziente.
Non necessariamente. Solo la psicoanalisi freudiana (una delle altre scuole di psicoterapia) prescrive l’uso del lettino. Invece, nella maggior parte dei casi, come nella psicoterapia cognitiva comportamentale, il colloquio avviene stando normalmente seduti (alla scrivania di fronte al terapeuta o su poltrone o divani) .
Paziente e terapeuta identificano insieme degli obiettivi specifici all’inizio della terapia, che possono poi essere modificati in itinere.
Già dopo i prime tre-quattro colloqui dall’inizio della terapia si possono notare i primi cambiamenti e miglioramenti se si frequentano i colloqui con motivazione e se ci si impegna giornalmente ad eseguire le attività assegnate a casa tra una seduta e l’altra.
I benefici della terapia potranno essere verificati non solo tramite l’esperienza del paziente, ma anche attraverso la somministrazione periodica di alcuni test finalizzati a misurare lo stato del paziente durante il percorso terapeutico.
Durante i colloqui è richiesta l’attiva partecipazione del paziente come in ogni altra terapia, ma l’ACT prevede anche, esattamente come richiesto dagli allenatori in palestra, che si faccia pratica anche nella vita quotidiana quando il terapeuta non c’è.
Parlando e basta non cambia niente, la pratica è parte integrante del percorso. (Ricerche scientifiche hanno dimostrato che i pazienti che svolgono a casa le attività assegnate raggiungono i risultati più in fretta e li mantengono più a lungo di chi non lo fa.)
Tali attività pratiche vengono concordate fra terapeuta e paziente e non vengono valutati o giudicati, ma utilizzati esclusivamente per migliorare.
Innanzitutto i colloqui sono soggetti a segreto professionale (Decreto Legilsativo sulla privacy196/03), quindi nessuno lo verrà a sapere a meno che non siate voi a dirlo.
In ogni caso potrebbe accadere che familiari, amici e conoscenti esprimano il loro parere sul vostro problema senza essere ferrati sull’argomento, dicendo semplicemente “Il problema è solo nella tua testa“,”Dovresti farcela da solo“, “Se vai dallo psicologo ti farà il lavaggio del cervello e diventerai debole e dipendente“, “Momenti del genere capitano a tutti, guarda me per esempio…non ho certo bisogno di psicoterapia!” e così via, minimizzando ciò che sentite e per cui soffrite.
Da una parte familiari e amici sperano così di rappresentare un punto di forza e di aiuto (pur essendo magari a volte una delle cause inconsapevoli del problema), dall’altra cautelano la loro inadeguatezza (che non è un limite, ma un dato di fatto) e le zone problematiche della loro personalità, i loro timori e paure sulla debolezza che gli altri potrebbero attribuire a chi chiede aiuto per un problema psicologico.
Se avete un problema psicologico continuo e/o intenso, non proseguite accettando passivamente il vostro malessere, ” perché gli altri fanno così”, e iniziate a lavorare su voi stessi, con l’aiuto di uno specialista.
Superate le incertezze iniziali, chi sceglie di fare un percorso di psicoterapia arriva a pensare “Almeno, io sto cercando di stare meglio…”
Visitare l’approfondimento nell’apposita sezione.